APPUNTI SUL LIBRO DI PATRIZIA DE CAPUA: MA QUALI SOGNI, POI PENSIERI SULLA MORTE - DI PIERO CARELLI

12.11.2023 12:00

In occasione della relazione di Duccio Demetrio sul tema degli “adii”, mi permetto di condividere i miei appunti sul bel libro di Patrizia.

Un lungo viaggio nella storia in cui l’autrice “dialoga” e dialoga “criticamente” con i grandi della cultura che si sono cimentati col problema dei problemi. Un viaggio in cui dimostra di spaziare, con cognizione di causa, negli ambiti più diversi: dal mito alla religione, dalla poesia alla narrativa, dalla tragedia al cinema e, naturalmente, alla filosofia fino alla fisica (di Carlo Rovelli).

 

La morte. Un destino ineluttabile. Il destino di ogni cosa.

Anche il Sole morirà e durante la sua agonia lancerà fiammate che lambiranno il pianeta Terra e la renderanno inabitabile.

Tutte le stelle moriranno e precipiteranno in buchi neri.

Un destino, ma solo i mortali lo sanno, solo i mortali sanno di essere… sein zum Tode.

Ed è per questo che da millenni si interrogano e si angosciano. Di qui il loro aggrapparsi ai miti, alla religione, alla stessa filosofia nel tentativo di dare un senso a ciò che è inevitabile e magari una speranza in un aldilà.

Ecco tutte le elucubrazioni sull’anima non corporea e quindi capace di vivere oltre la morte del corpo.

Ecco tutti i raffinati giochi intellettuali finalizzati a consolare e a debellare la paura. Perché mai dovremmo avere paura di qualcosa che, quando ci sarà, noi non ci saremo? Perché mai dovremmo avere paura della morte quando non ci turba minimamente il fatto che prima di nascere siamo stati per un tempo infinito un “nulla”?

 

Giochi che non consolano più nessuno?

Già, come non ci consola il fatto che siamo polvere di stelle e, in quanto tale, saremo immortali.

E non ci consola neppure la prospettiva di una qualche immortalità quando contribuiamo a un’impresa collettiva destinata a dare i frutti alle future generazioni.

 

Un viaggio intrigante, quello di Patrizia.

Un viaggio che ci interroga.

Non è proprio la morte che esalta il valore della vita, una vita quindi da vivere intensamente attimo per attimo prima che ci sfugga, trascorrendo ogni giorno come se fosse l’ultimo?

Un dono o no la vita, non è un’opportunità unica (non si ripresenterà mai più) da assaporare e da far assaporare a chi – tra le persone con cui ci imbattiamo – non sente più neppure alcun sapore?

Non siamo esseri “speciali”, ma solo “gocce invisibili e indistinguibili di un Oceano smisurato”, semplici increspature che scompaiono in un lampo, ma non è questa una ragione in più per fare tutto il bene che siamo in grado di fare per noi e per gli altri prima di dissolverci?

 

Il caso ci rende disuguali, anche drammaticamente disuguali, mentre la morte ci livella tutti realizzando così la perfetta uguaglianza?

Forse no.

Vi è chi muore accompagnato dall’affetto di chi ha amato e chi muore solo, abbandonato, abbandonato perfino dai famigliari.

Vi è chi muore di vecchiaia e chi viene stroncato da un male incurabile in età ancora non matura.

Vi è chi muore beatamente nel sonno e chi sotto le bombe dell’aviazione israeliana o russa o sotto i colpi inferti da Hamas.

Vi è chi viene sepolto in una fossa comune e chi finisce in una cappella (costata un capitale) di famiglia…

Disuguali nasciamo e disuguali moriamo.

 

Possiamo morire disperati o affrontare il nostro ultimo appuntamento con qualche serenità.

Dipenderà da noi.

Ma… come prepararci senza, tuttavia, perdere nulla (per quanto possibile) del “sapore” della vita?

Facendo i conti con noi stessi, con la nostra vita.

Un bilancio di chiusura. Con… distacco.

Con sincerità: non possiamo mentire a noi stessi.

Cogliendo le luci e le ombre: non è la morte che… illumina le nostre luci e le nostre ombre?

Cogliendo, magari, il tanto di positivo che abbiamo costruito per noi e per gli altri, nonostante mille errori.

 

Fare i conti con la nostra vita non è, poi, fare i conti con la nostra morte, accoglierla come un fatto naturale?

Così Patrizia: “dipenderà da come avremo vissuto. Attaccati alla roba, staremo sempre all’erta per non farcela trafugare. Felici come il saggio, se sapremo recuperare un noi” nella “consapevolezza di un comune destino”.

Sarà la morte, la nostra morte “che decreterà chi siamo stati”.

 

A quando a Crema un “laboratorio di autobiografia” sulla scia della Libera università dell’Autobiografia di Anghiari fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino?